Don Verzè aveva dato orientamenti poco compatibili con la dottrina ufficiale della Chiesa

Nella Bibbia, l’arcangelo Raffaele aiuta Tobia a recuperare i dieci talenti d’argento che sono dovuti a suo padre, diventato povero. A Milano, quello “diventato povero” è il San Raffaele di don Luigi Verzè, schiacciato da un miliardo e mezzo di debiti, e a recuperare i crediti tocca invece al Tribunale fallimentare. Soldi veri, per ora, li ha promessi soltanto la cordata vaticana Ior-Malacalza, e fino al 5 marzo chi volesse farle concorrenza potrà sempre farsi avanti a suon di rilanci. Ma in realtà tanto i “big” della finanza e della sanità privata, quanto alcune cordate di medici interni al polo ospedaliero, stanno lavorando a un’ipotesi completamente alternativa: lo spezzatino del San Raffaele.

Nessuno ne parla apertamente, ma a Milano è su questo che vari studi professionali – e le stesse banche finanziatrici – stanno facendo quei calcoli che alla fine potrebbero anche sedurre commissari e creditori. Le schermaglie di questi giorni su conflitti d’interesse e sulla “gara fantasma” per il salvataggio del polo ospedaliero e della ricerca non devono ingannare. Il bando per le offerte alternative è stato riaperto ieri, scade il 31 dicembre e il termine potrà arrivare al 5 gennaio in caso di rilanci. Lo ha deciso il cda della Fondazione, che ha ottenuto già il via libera del Tribunale per il concordato in continuità, e dopo che la cordata Ior-Malacalza ha messo sul piatto 250 milioni di euro (125 a testa), oltre alla disponibilità ad accollarsi altri 250 milioni di debiti. Gli altri possibili concorrenti, a cominciare dal gruppo San Donato di Giuseppe Rotelli, dall’Humanitas della famiglia Rocca e dalla misteriosa fondazione svizzera Marcus Vitruvius, dietro alla quale si celerebbe un finanziere poco amato in Vaticano come George Soros, non hanno sicuramente gradito che il cda abbia fissato a quota 50 milioni di euro lo scalino minimo per i rilanci. E di sicuro non è particolarmente elegante che nel cda che poi dovrà scegliere a proprio “insindacabile giudizio l’offerta che si riterrà di accettare” vi siano già quattro esponenti espressi dal segretario di stato del Vaticano, Tarcisio Bertone: Gian Maria Flick, Ettore Gotti Tedeschi, Giuseppe Profiti e Vittorio Malacalza. Che però ci fosse l’ombra di un pesante conflitto d’interessi non è notizia né di ieri né di domani. Bastava leggere il provvedimento del 27 ottobre scorso con il quale il Tribunale ha approvato il concordato preventivo, nella parte in cui ravvisa “un soggiacente conflitto d’interessi, che potrebbe in effetti gettare un velo d’ombra sulle modalità con cui il piano concordatario è stato disegnato proprio in funzione e sulla falsariga dell’offerta formulata dai suddetti Investitori”. Insomma il concordato, al quale si oppongono invece i pm che indagano per bancarotta don Verzè e altri cinque suoi collaboratori, un mese fa è stato concesso perché non si era fatto avanti nessun altro con i soldi in mano. Ma potrebbe sempre essere revocato dal Tribunale, se il cda della Fondazione mettesse in pratica quel “soggiacente conflitto d’interessi” bocciando offerte più vantaggiose, ma “politicamente” sgradite al Vaticano. Ed è su questo punto che si registrano le grandi manovre della finanza laica e di alcun cordate miste tra medici interni e fornitori. Su tutta la procedura, vigilerà comunque il Tribunale (con i giudici Filippo Lamanna, Francesca Savignano e Roberto Fontana) e i commissari Rolando Brambilla, Salvatore Sanzo e Luigi Saporito. L’udienza per i creditori resta fissata per il 23 gennaio 2012 e in quell’occasione si voterà la proposta di concordato. Se il 60 per cento dei crediti approverà il piano di rimborso, si potrà andare avanti, altrimenti arriverà il fallimento. Va anche detto che un’eventuale offerta migliorativa dovrebbe garantire oltre il 60% dei pagamenti al momento promessi dalla cordata Ior-Malacalza. Che è un livello decisamente superiore alla media dei concordati italiani. In realtà, nessun curatore fallimentare, e tanto meno il Tribunale di Milano, è astrattamente contrario all’ipotesi spezzatino. Ovviamente a patto che garantisca un miglior rimborso dei crediti e non metta sul lastrico i 3.800 dipendenti del gruppo. E allora si spiega così la cortina fumogena delle polemiche sui conflitti d’interessi e sul bando, al quale basterebbe comunque partecipare offrendo la non proibitiva cifra di 300 milioni di euro. Diversamente, si può stare alla finestra o proporre soluzioni alternative. Non è un mistero, ad esempio, che tanto il gruppo San Donato quanto l’Humanitas sarebbero interessati a rilevare singole specialità del San Raffaele. E che alcuni direttori delle divisioni più redditizie, come quelle di medicina nucleare e di oncologia, starebbero cercando in proprio i finanziatori per un classico “managing buy-out”. Mentre al gruppo Soros interesserebbero sostanzialmente la divisione ricerca e l’Università Vita-Salute, dove per altro don Verzè aveva dato orientamenti poco compatibili con la dottrina ufficiale della Chiesa (dalla ricerca sulle staminali, a una certa spruzzata “new age” negli insegnamenti). Insomma, a parte l’inchiesta penale in corso, la parola “fine” sulla partita finanziaria in corso è tutta da scrivere. Con corredo di alleanze variabili e di alcune singolarità. Una per tutte, quella che riguarda l’industriale e finanziere piacentino Vittorio Malacalza. Nel San Raffaele è schierato con le “truppe” vaticane, ma in virtù della sua alleanza con la Pirelli siede anche nel cda della Rcs (che edita il Corriere della Sera), al fianco di Giuseppe Rotelli e Gianfelice Rocca. Se lo scontro sul San Raffaele dovesse acuirsi, Malacalza può essere il pontiere come il vaso di coccio.
bonazzi@ilsecoloxix.it
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