Diventare poveri inutilmente

Gli esperti, o presunti tale, sono divisi: tutti gli economisti (e dico proprio tutti, anche i più liberisti) sono però concordi nell’affermare che il recente summit europeo che ha intrapreso un nuovo percorso di integrazione europea (!!!???) avrà un ruolo decisivo nel definire le sorti del nostro paese. Nel senso che tutte le manovre di questo mondo si rivelerebbero inutili se il processo di integrazione, al di là di definizioni sinceramente ridicole (gli Stati Uniti d’Europa sono ben altra cosa), non fosse attuato in modo completo, nel senso che chiarirò. Mi dichiaro una volta per tutte: io sono di sinistra; credo che il libero mercato sia una chimera esistente soltanto nella teoria spiegata sui libri di macroeconomia (non tutti) con l’aiuto del calcolo differenziale (la matematica applicata), perché dietro ogni azione “economica” ci sono gruppi d’interesse che spingono per la massimizzazione del proprio utile incidendo profondamente sugli equilibri di mercato che lo stesso liberismo puro definirebbe “inevitabili”.
Diciamolo ad alta voce: il libero mercato non esiste. Tutto si risolve in rapporti economici di produzione tra uomini o meglio, gruppi di pressione, i cui interessi si nascondono dietro teorie mainstream che acuti economisti conoscitori della storia (ma non sono meno preparati degli economisti liberisti) si divertono a smontare con il rigore logico e matematico che i primi pretenderebbero di avere. Capisco la ragione politica di chi, anche a sinistra, si affanna a ripetere alla gente che bisogna ingoiare la medicina amara per stare bene dopo: è l’ottimismo di chi, evidentemente, ha il potere economico per aspettare fiducioso gli eventi mantenendo ben salda la “posizione”. Io sono un po’ più pessimista per due ragioni: 1) non ho questo potere economico e ho timore che gli eventi travolgano il relativo benessere mio e della mia famiglia; 2) questa “paranoia da pessimismo” mi induce ad studiare dati e fare calcoli per verificare se l’ottimismo degli altri sia giustificato o no.
Non mi soffermo su quanto deciso in ambito europeo tra l’8 ed il 9 Dicembre – per questioni di brevità e complessità – e demando il mio pensiero all’articolo dell’economista Vladimiro Giacchè e alla bellissima lezione dell’economista Emiliano Brancaccio sulla crisi europea e sulla causa “privata” degli alti interessi sul debito che paghiamo. Dico solo che, dopo i commenti positivi di rito sugli accordi presi (!!??), Il Prof. Monti ha dichiarato :”la manovra potrebbe non bastare”; e Romano Prodi, uno che di Europa e di eurobonds se ne intende, ha detto:” vertice europeo positivo ma non ci sono eurobonds e crescita”. In politichese vuol dire: fallimento su tutta la linea.
Qualche numero: la correzione alle tre manovre già varate dal precedente governo si è dimostrata necessaria alla luce dell’errata previsione di crescita del PIL. L’ultima manovra del 4 Dicembre scorso è stata fatta da Monti su una previsione di PIL al +0,7% nel 2011 contro un + 1,3% dell’Aprile 2011 (quando i conti dello Stato Italiano erano, secondo Tremonti, ancora in linea). Sarebbero bastati 10-11 Mld di Euro di correzione. Perché la manovra è per 21 MLD di euro? Perché già per quest’anno il PIL non supererà il + 0,2%: il governo si è quindi premunito su un abbassamento della ricchezza prodotta in Italia che è già nei numeri.
Ora, l’Istat ha pubblicato in settimana dati sulla produzione industriale terribili (-4,1% su base annua), mentre il FMI ha previsto l’Italia in recessione (-0,5% del PIL) per il prossimo anno; la Corte dei Conti e Banca d’Italia hanno candidamente ammesso che la manovra Monti tutta tagli e tasse è recessiva per almeno un altro 0,5% di PIL. Questo significa che se, per miracolo, l’economia italiana non dovesse subire il conosciuto “avvitamento” delle economie in recessione strutturale, bene che vada tra qualche mese il nostro governo sarà costretto ad operare un’altra manovra per circa 16 MLD di euro. Gli accordi Europei, in più, hanno introdotto l’esame preventivo a livello europeo del nostro bilancio e il Six Pack, un insieme di norme che prevedono, tra le altre cose il pareggio di bilancio in Costituzione e il rientro del rapporto Debito/PIL dal 120% al 60% con una riduzione del 5% annuo a partire dal 2015. Ammesso che la recessione si fermi magicamente (ma come può succedere se la gente non ha più reddito per consumare?), per noi significa un rientro annuale di 45 MLD di Euro a partire dal 2015 più 16 MLd subito dal prossimo anno. L’obiettivo è la svendita del nostro patrimonio pubblico e la privatizzazione dei nostri servizi pubblici, perché altri modi per recuperare soldi non sembrano esserci. Ma chi potrà permettersi le polizze private con i redditi così bassi e con una pressione fiscale al 45%? Roba da ricchi. Se l’Europa non cambia rotta e la BCE non diventa prestatore di ultima istanza l’Italia finisce velocemente come la Grecia, con PIL in caduta libera, commissariamento del FMI – il cui rafforzamento è già stato previsto ad hoc – e disoccupazione al 20-25%. Vivremo in un’Italia più ingiusta, più diseguale e con maggiore concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, di quelli che, cioè, si accaparreranno la gestione dei servizi pubblici (l’industria è già nelle loro mani).
[1] Un recentissimo studio Deutsche Bank ha quantificato al 57% – ai livelli attuali di bilancia dei pagamenti – la perdita di potere d’acquisto di salari e pensioni a seguito dell’uscita dell’Italia dall’area Euro.
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