Europa: bersaglio solo dei mercati o vittima anche di un "big game"?

Ai cantori della supremazia e dell’esclusivitĂ  dei mercati vogliamo ricordare che se la crisi finanziaria del 2008 fosse stata lasciata soltanto in balia delle dinamiche interne ai mercati, avremmo avuto un’implosione globale con il crollo a catena dell’intero sistema bancario internazionale. La veritĂ  è che sono stati gli interventi degli Stati sovrani, in quanto attori esterni ai mercati, che, indebitandosi in media di oltre il 20% del loro Pil, hanno in parte momentaneamente stabilizzato la situazione.

Nei confronti dell’Europa oggi abbiamo un mix esplosivo di problemi oggettivi dovuti alla mancanza di crescita ed all’insostenibilitĂ  dei bilanci, che devono essere urgentemente corretti, e di operazioni “mirate” al suo fallimento. Per affrontare i primi c’è bisogno di tempo che taluni poteri interessati spingono per ridurlo drasticamente.

Il New York Times ha appena annunciato che le banche americane si stanno preparando al crollo dell’euro. Si stanno ritirando dall’Europa per paura del contagio che sarebbe prodotto da una crisi che loro stesse hanno scatenato! Secondo le stime della JP Morgan, è dall’inizio dell’anno che le banche e i fondi americani hanno deciso di disinvestire dalle banche europee ritirando oltre 700 miliardi di euro aggravando così la loro crisi di liquiditĂ .
Ovviamente ciò ha avuto un effetto traino anche tra i paesi emergenti che hanno ridotto la quota in euro delle loro nuove riserve dal 29% del 2008 al 17% attuale.
Sono e sono stati disinvestimenti anche dai titoli di Stato europei. Di conseguenza si è aggravato il problema di solvibilità oltre che di liquidità.

E’ facile quindi per le agenzie di rating giustificare le loro rettifiche al ribasso per le banche europee e per i titoli di Stato buttando benzina sul fuoco. La Fitch oggi declassa 8 banche italiane. La Standard and Poor’s “si sbaglia” e abbatte il rating della Francia e delle sue banche. Poi le banche dell’Austria entrano nel mirino destabilizzando anche i paesi dell’Europa centrale e dell’Est. La Moody’s rilancia sul rischio di default multipli in Europa. E, come era prevedibile, le banche tedesche inevitabilmente sono il prossimo bersaglio.

Intanto bisognerebbe riconoscere che si tratta di crisi sistemica globale e non di un terremoto con un epicentro europeo.
Infatti un dettagliato documento pubblicato a settembre dalla Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea mette a confronto il totale nel 2010 della somma dei debiti pubblici, di quelli del business privato e di quelli delle famiglie di tutti i paesi dell’Ocse. Il Giappone risulta il piĂą esposto con un livello pari al 456% del Pil. Seguono l’UK con 322%, la Francia con 321%, l’Italia con 310%, gli Usa con 268%, la Germania con 241%. Siamo tutti sulla stessa barca e in media gli Usa stanno peggio della zona euro.
Per evidenziare però la realtà della situazione Usa non bastano le percentuali. Occorre considerare che quasi il 60% di tutti i derivati Otc sono gestiti dalle banche americane! Si ricordi inoltre che la verità sui conti pubblici truccati dalla Grecia evidenziò che il governo ellenico aveva operato con grandi banche di investimento come la Goldman Sachs per trasformare alcuni debiti in sofisticati derivati Otc. Ed è noto che gli Otc finiscono fuori bilancio!

Per l’Europa però il problema sta nella sua incapacitĂ  di dare una risposta politica ai gravi processi degenerativi in atto. Gli stessi banchieri europei, soprattutto tedeschi, riuniti a Francoforte per il Congresso Bancario Europeo, hanno posto il “grande cambiamento”, cioè del passaggio da un sistema unipolare, leggi “sistema del dollaro”, ad uno multi-polare con la partecipazione piĂą forte dell’Europa e delle nuove potenze economiche.

In definitiva è emersa con forza la questione della leadership politica come la chiave di volta del futuro dell’Unione. Ed è davvero singolare che i leader europei non accelerino il processo di unitĂ  politica.
Anzi e purtroppo, proprio adesso le elite inglesi stanno cercando di dare una spallata decisiva alla costruzione dell’architettura politica ed economica di un’Europa federale. In un recente convegno organizzato a Parigi da tre importanti fondazioni europee impegnate nei programmi di un’economia sociale di mercato, il professor inglese Charles Grant, presidente del Centre of Economic Researches, ha avvertito gli sbalorditi convenuti di “essere pronti all’uscita della Gran Bretagna dall’Ue entro i prossimi dieci anni”.

Perciò il tempo stringe. Molto dipende dalla volontĂ  e dalla capacitĂ  di decisione dei tedeschi. A Berlino sottovalutano i tempi. Certi cambiamenti richiesti ai partner non possono essere fatti con la celeritĂ  che l’urgenza impone. Ciò però non giustifica la dilazione relativa a decisioni importanti quali gli eurobond.
Una cosa è certa: se la leadership di oggi non avrĂ  la stessa determinazione e lungimiranza di Monet, Schumann, Adenauer, De Gasperi e degli altri ideatori dell’Europa, l’Ue rischia davvero di arrivare troppo presto al capolinea.

Mario Lettieri e Paolo Raimondi, paneacqua.eu
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