Pechino, Wei Wei torna a gridare

A due mesi dal rilascio dal carcere, l’artista dissidente cinese Ai Wei Wei rompe il silenzio e torna a muovere pesanti critiche contro il governo di Pechino. Liberato a condizione di rimanere in assoluto silenzio e quindi di non parlare con giornalisti, stranieri, difensori dei diritti umani e di non usare internet, Wei Wei sceglie il modo più veloce e più in voga al momento per esprimere il suo punto di vista: Twitter. È bastato un cinguettio, infatti, perché il mondo dell’informazione tornasse a parlare degli ottantuno giorni di detenzione illegale dell’artista contemporaneo cinese più famoso al mondo – tra i progettisti del “Nido d’uccello”, lo stadio che ha ospitato le Olimpiadi di Pechino – che dal dicembre 2010 è finito nel mirino della polizia cinese. Una escalation di violazioni dei diritti umani ha portato alla detenzione illegale dell’artista: prima il divieto di viaggiare all’estero, poi la demolizione del suo studio a Shanghai e infine l’arresto in aeroporto. L’accusa: frode fiscale. Ma ci sono pochi dubbi che l’artista sia stato incarcerato per motivi politici. Una fonte molto vicina a Wei Wei ha raccontato alla stampa estera l’esperienza durissima e le umiliazioni che l’artista ha dovuto subire durante l’incarcerazione. Dall’incappucciamento e ammanettamento in una cella solitaria e quasi senza luce, alla pressione psicologica, alle minacce e all’umiliazione di dover chiedere il permesso perfino per bere un bicchiere d’acqua. Insieme a lui erano stati arrestati quattro suoi conoscenti, senza accuse specifiche ma trattati alla stregua dell’artista. L’agenzia di stato, Xinhua, conferma il rilascio dell’artista per buona condotta, «perché ha confessato di aver evaso il fisco e ha accettato di pagare tutto il denaro che doveva». Il governo poi, ha confermato che l’artista sarebbe rimasto sotto inchiesta per crimini fraudolenti ed evasione delle tasse. Wei Wei però non è mai stato formalmente avvisato, non esisteva neppure un mandato di cattura contro di lui: i suoi carcerieri gli avrebbero infatti confessato che contro di lui non c’era alcuna prova, a conferma dello strapotere dello stato. «Questo succede quando critichi il governo. Hai messo la Cina sotto una cattiva luce, ora vogliamo che lo sia anche tu», gli avrebbe detto la polizia. Neppure la moglie è riuscita a sapere dove fosse stato portato. Semplicemente perché non c’erano prove cartacee del suo arresto. Leggendo il suo status su Twitter si capisce perché sia un personaggio così scomodo e fastidioso per Pechino. L’artista parla di Pechino come di una «città violenta», che fa credere agli stranieri di non avere niente di anormale, di diverso dalle altre capitali globali, che è aperta. Ma quello che Pechino nasconde agli occhi degli stranieri è ben visibile a quelli locali. Dai milioni di cinesi venuti dalle campagne per costruire infrastrutture, hotel e centri di benessere stipati in baraccopoli malsane dalle quali vengono cacciati non appena l’onda inarrestabile dell’espansione urbanistica reclama nuove spiagge alla corruzione che tocca tutti gli organi politici e giudiziari. «La cosa peggiore di Pechino – scrive Wei Wei – è che non puoi fare affidamento sul sistema giudiziario». Se si pensa che il governo di Pechino si sta muovendo per legalizzare la pratica sempre più diffusa della carcerazione illegale dei dissidenti– attraverso una modifica del codice penale – si intuisce che l’azione di Wei Wei non passerà inosservata allo stato che gestisce l’organo di censura più forte al mondo.

Jandira Moreno do Nascimento / europaquotidiano

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