Il Cardinale e la preghiera che non paga
Come direbbe l'on. Andreotti, uno che di affari di chiesa se ne intende, sicuramente si fa peccato a pensare che l'invito, rivolto ieri al governo italiano dal cardinale Bagnasco, di far pagare le tasse agli evasori, abbia come profano retropensiero l'ammontare dell'8 per mille. Ma è quel che succede nel Belpaese: più tasse paghiamo, più soldi finiscono nelle casse vaticane. E si tratta di «cifre impressionanti» per dirla con le parole usate ieri dal sacro pulpito. In ogni caso a pensar male spesso s'indovina.
Una Chiesa che vive di privilegi fiscali non sembra la cattedra più imparziale, né la più accreditata, nel dispensare consigli in proposito. Se solo il Vaticano pagasse la tassa sugli immobili (l'Ici), molte e grandi opere di bene potrebbero essere intestate ai ministri di Dio. Il severo monito spedito all'indirizzo della manovra economica di Palazzo Chigi, ha il sapore di chi prega ma non paga. E nell'epoca della grande crisi, quando lavoro e salari non riescono nemmeno a svolgere la funzione ottocentesca di riprodurre la forza lavoro, l'accorato pensiero del cardinale alle sorti amare della famiglia italiana sarebbe più credibile se, intanto, facesse la grazia di rinunciare, per esempio, ai finanziamenti della scuola privata (cattolica). Specialmente quando alla scuola pubblica vengono sottratti miliardi (otto negli ultimi tre anni).
In fondo quella clericale, benché ispirata dalla divina provvidenza, è una casta che siamo costretti a sovvenzionare senza neppure averla eletta come legittima rappresentante dei nostri interessi. Per l'esigua e dannata razza del contribuente italiano non fa nessuna differenza sapere che i quattromila euro di pensione sono percepiti dal cappellano militare, seppur con molte stellette, anziché dall'ultimo parlamentare. Pregare bene e razzolare malissimo è una abitudine diffusa del malcostume nazionale, ma almeno chi ci malgoverna, pur se unto dal signore, non è eterno.
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