Lettera aperta al Cardinale Tettamanzi

Chiuso di Lecco, Casa sul pozzo.

Carissimo Padre,

Ti scrivo dopo che a mezzogiorno è stata data la notizia del tuo successore alla Cattedra di Ambrogio. Voglio dirti ciò che mi ha colpito ieri sera, nella celebrazione liturgica del Beato Serafino nella parrocchia di Chiuso, che tu hai presieduto. Mentre il diacono Roberto annunciava il Vangelo tu ti sei appoggiato pesantemente al tuo bastone pastorale, per tutta la durata della proclamazione. Non so i tuoi pensieri, ma vedevo il compimento del tuo servizio espresso in questo gesto unificante; ieri sera eri il nostro parroco, colui che abita vicino alle nostre case. I vecchi abitanti di Chiuso, che abbiamo conosciuto e che se ne sono andati prima di questa proclamazione, ci hanno raccontato della memoria, ricevuta, di questo parroco chiamato sempre beato e anche di una certa indifferenza della gente (siamo di confine, dicevano). Tu hai raccontato il legame tra città e periferia, nella fattispecie tra Milano e Chiuso, sviluppato in don Serafino. Hai ricordato con affetto i tuoi predecessori a Milano quasi a consegnare una mappa del servizio pastorale offerto al popolo ambrosiano. Ho provato a declinare dentro di me le cose che mi hanno colpito del tuo essere pastore: Il pastore conosce le pecore e le chiama per nome; ieri sera cercavi don Gil (Orsi) e chiedevi dove fosse. Mi hai detto, riconoscendomi, che avevi piacere di rivedermi. Entrando in una chiesa o in un luogo di raduno ti fermi a salutare la gente per trasformare l’attesa e l’applauso in relazione, breve, ma cordiale. Al ragazzino con il braccio ingessato che ti offriva l’ampolla all’offerta dei doni, vedevo che eri lì lì a chiedere cosa gli fosse successo. Un pastore chiama per nome e conosce il timbro. Appoggiato al bastone di servizio e di guida nel tuo piccolo/grande cuore ci sono i nomi di tutti. Il mio fraterno amico vescovo Casaldaliga ha scritto un giorno: Alla fine del cammino mi diranno: Hai vissuto, hai amato? Ed io senza dire niente Aprirò il cuore pieno di nomi. Non dimenticherò mai che nella grande congiura del silenzio nella quale siamo stati avvolti tu hai chiamato per nome le storie degli uomini e delle donne; fossero rom, immigrati, portatori di handicap, cinesi o latinoamericani, africani o dell’est; per te erano persone, uguali in dignità, in diritti e doveri. Parola e gesti che ti hanno fatto scaricare addosso sarcasmo e parole rozze e ancora tanto silenzio da parte degli uomini e delle donne degli equilibri. La gente ha capito la tua vita buona perché tu hai riconosciuto la loro, fatta di fatica quotidiana, di resistenza al male e di affido alla Provvidenza. Non ti sei stancato di offrire ottimismo evangelico. I tre ultimi Beati sono la tua firma per una storia di chiesa: fondamentalmente amici di Dio e degli uomini. Mi auguro che non si chiuda questa stagione. Oso farti un invito: quando avrai passato il tuo bastone di Pastore al nuovo Vescovo, vienici a trovare a la Casa sul pozzo, non lontano da dove riposa e veglia il beato Serafino. Sarai una benedizione per tutti.

di Angelo Cupini

domaniarcoiris

 

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