La politica papale va in porto solo in Italia

Non sono tempi facili per la Chiesa cattolica. I processi di secolarizzazione, nonostante alcuni maldestri tentativi di negarne l’evidenza, proseguono apparentemente inarrestabili e, anzi, cominciano a investire anche aree, come l’America latina e gli Usa, che ne sembravano finora escluse.
 
Il numero dei non appartenenti a alcuna religione è in crescita quasi ovunque, così come cresce il numero delle nazioni che improntano la propria legislazione al principio di laicità, riconoscendo nel contempo «nuovi» diritti a chi finora era discriminato: donne, omosessuali, minoranze religiose. In questo contesto, il Vaticano sembra non riuscire a stabilire un contatto con il mondo contemporaneo: di qui la sua crescente contrapposizione con realtà, come ad esempio l’Onu, la Bbc o Amnesty International, che, pur diversissime tra loro e non certo «laiciste», sono comunque accomunate su scala mondiale da una credibilità che dovrebbe consigliare maggior prudenza alle gerarchie ecclesiastiche.
 
Non è estranea a questo clima la presenza sul trono di Pietro di un pontefice come Benedetto XVI. La sua recente enciclica Spe Salvi ha suscitato molte polemiche per i virulenti attacchi all’ateismo e all’illuminismo, dimenticando quanto quest’ultimo sia alla base delle migliori conquiste degli ultimi tre secoli: democrazia, eguaglianza, laicità, libertà di espressione. Il punto di vista del documento è prettamente europeo: è faticoso avere un respiro universale quando ci si richiude all’interno del bunker. L’ideologia di Ratzinger sembra volgersi molto indietro come se l’ossessiva avversione per il relativismo si fosse trasformata, strada facendo, in una condanna della stessa pluralità
dell’esistente, semplificata in un dualismo da Them-or-Us, Noi-contro-Loro, che, benché tipico del monoteismo, è più la caratteristica di una setta che di una confessione religiosa mondiale. Benedetto XVI non sembra, al momento, aver ancora individuato una strategia in grado di invertire la rotta, fatta eccezione per il vecchio, consolidato e proficuo ricorso all’aiuto del potere politico.
 
Parte integrante di questa strategia passa per una riscrittura della storia («le radici cristiane») e finanche dello stesso vocabolario, con la creazione del concetto di laicità «sana», sconosciuto fino a pochissimi anni fa: la sua specificazione si traduce nell’esplicita richiesta di privilegiare i credenti, soprattutto se organizzati sotto le insegne della Chiesa di Roma. Il problema, per Ratzinger, è che riverniciature confessionali di questo tipo sembrano trovare ascolto solo in Italia, l’unico paese dove un Tar e un Consiglio di stato possono permettersi, nell’indifferenza pressoché generale, di definire il crocifisso un «simbolo della laicità dello stato».
 
Il nostro è anche l’unico paese dove i tg riservano l’apertura a ogni prolusione papale e dove uomini politici, dopo aver probabilmente perso ogni contatto con la realtà quotidiana, si sono affidati alla realtà virtuale della tv, traendone l’impressione che l’episcopato possa spostare chissà quanti voti a loro favore e, eventualità decisamente assurda, a favore di tutti. L’atteggiamento acquiescente sembra pervadere entrambi gli schieramenti e lascia i pochi, genuini esponenti laici in balia di una condizione di inanità tale da spingerli a porre in secondo piano la rivendicazione di diritti che, nel resto d’Europa, sono in gran parte oramai acquisiti.
 
Conseguenze pratiche? Anche quel poco che è stato messo nero su bianco nel programma dell’Unione (diritti per le coppie di fatto, testamento biologico, nuova legge sulla libertà religiosa) sembra segnare definitivamente il passo sotto l’ostracismo dei teodem; proposte di buon senso, come quella volta a eliminare l’esenzione Ici sugli immobili ecclesiastici destinati a attività commerciali, ottengono un sostegno risibile; iniziative popolari, come la richiesta di istituire un registro per le unioni civili a Roma, vengono impallinate dal Pd in nome dei supremi interessi della coalizione.
 
Tali interessi vengono però meno quando, a non votare la fiducia al governo, è la senatrice dell’Opus Dei Paola Binetti, contro la quale nessuno si è azzardato a chiedere provvedimenti. Per contro, ci è toccato leggere la spericolata dichiarazione di D’Alema sui matrimoni omosessuali, in cui è riuscito a mischiare il rispetto (giuridico!) che si dovrebbe portare a un sacramento cattolico alla sua personale fascinazione per una fede che trova la propria forza in un clero e in fedeli sempre più anziani. Sganciati da un mondo che cambia e dalle realtà più dinamiche della società, questi politici italiani continuano in tal modo a praticare quella saldatura con i poteri spirituali. La perdurante influenza vaticana dimostra che è la politica a rappresentare un autentico instrumentum religionis. Ma solo quando è disponibile a lasciarsi usare.
Raffaele Carcano

fonte: www.ilmanifesto.it

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