L’identità e i suoi luoghi: a Oristano i teologi italiani riuniti a congresso

Centoventi teologi, in gran parte 40-50enni, con una buona percentuale di laici e, tra questi, un gruppetto di donne. È questo l’identikit dei partecipanti al XX Congresso nazionale dell’Associazione teologica italiana (Ati), che si è svolto a Donigala Fenughedu, alla periferia di Oristano, dal 10 al 14 settembre, sul tema "L’identità e i suoi luoghi. L’esperienza cristiana nel farsi dell’umano".

Il congresso, che cadeva nel 40° anno di vita dell’associazione, ha segnato in qualche modo un simbolico spartiacque nella vita dell’Ati: nel 2007, infatti, sono scomparsi due tra i suoi padri fondatori, monsignor Luigi Sartori (presidente dal 1969 al 1988) e il professor Giuseppe Alberigo; al tempo stesso, gran parte delle relazioni sono state affidate – durante la settimana dei lavori – a giovani teologi, quasi a marcare un passaggio di testimone e la necessità di un rinnovamento generazionale che significhi anche apertura ai linguaggi e alla sensibilità del nostro convulso presente. Obiettivo? «Proseguire e incarnare la spinta innovatrice del Concilio Vaticano II», ha detto monsignor Piero Coda, attuale presidente dell’Ati, ma con lo stile caro a don Sartori, quello cioè di chi diffida delle «facili e affrettate rivoluzioni» e predilige invece «un profetismo a caro prezzo». Insomma: un «guardare lontano, e quindi senza fretta».

Tema del congresso è stato il nodo dell’identità, dunque la questione antropologica. E la domanda centrale, risuonata sotto diverse angolature, è stata quella proposta dal Salmo 8: «Che cosa è l’uomo, Signore, perché te ne curi?». Come ha spiegato monsignor Franco Giulio Brambilla, da poco nominato vescovo ausiliare di Milano, «l’identità del soggetto (chi sono io?) non è data a monte della relazione all’altro da sé». Vale a dire che «questione antropologica e orizzonte teologico si implicano in modo inestricabilmente circolare».

Se, dunque, la questione dell’identità è anche la domanda su che cosa è l’umano, il congresso ha tentato di affrontare il tema con un colpo di reni metodologico, cioè a partire dai «luoghi in cui la pratica dell’umano si esercita». Da qui le cinque relazioni sull’interiorità (L’identità abitata) di Roberto Repole, sulla differenza di genere (L’identità sessuata) di Stella Morra, sulla prossimità (L’identità custodita) di Giovanni Cesare Pagazzi, sul fare (L’identità attiva) di Roberto Del Riccio, e sulla liturgia (L’identità celebrata) di Andrea Grillo. A queste incursioni nei complessi e controversi "luoghi dell’umano", hanno fatto da contrappunto due dialoghi: quello di Coda con il filosofo Umberto Galimberti e quello del vicepresidente dell’Ati Marco Vergottini con la filosofa Laura Boella.

La tavola rotonda del 14 settembre, con gli interventi di Duilio Albarello, Armido Rizzi, Saverio Cannistrà e monsignor Ignazio Sanna, vescovo di Oristano e teologo di fama, ha concluso un congresso che si è rivelato ricco e interessante sotto vari profili. Il primo è quello che riguarda l’approccio alla questione posta a tema dell’incontro: durante il congresso, infatti, si sono confrontate due "anime", sotterranee ma evidenti, della teologia italiana. La prima, legata alla "scuola milanese", è quella che si potrebbe definire «confessante» e che parte dalla «coscienza credente»; la seconda, che potrebbe essere chiamata «dialogica», è quella che assume come punto d’avvio del proprio riflettere le provocazioni della storia.

Il secondo profilo di grande interesse del congresso è quello della vita e del ruolo dell’Ati: Piero Coda e Marco Vergottini sono stati confermati per un altro mandato e l’elezione per il rinnovamento del Consiglio dell’associazione ha visto la presenza di diverse candidature femminili, anche se alla fine soltanto una donna (Serena Noceti) è risultata eletta: segno comunque di una realtà – quella di chi fa professionalmente teologia in Italia – che sta cambiando e che pone una sfida alla stessa comunità ecclesiale. Da qui le conclusioni di monsignor Coda: «Occorre vincere la tentazione dell’autoreferenzialità delle istituzioni», ha detto. «E bisogna riflettere seriamente sul nodo dell’accesso e del tragitto praticabile da parte dei laici e delle donne, che si preparano o che già svolgono il ministero teologico».

g.f. (fonte Jesus Ottobre 2007

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