Psicoterapia: Totem e il Briccone, guarire con i sogni

"TOTEM E IL BRICCONE". Per guarire con i sogni.  Il sognatore cioè il protagonista, si sottopone alla terapia del sogno e tu di che Totem sei?

 

 

Il libro TOTEM E IL BRICCONE  (VAJ CARLO, Totem e il Briccone. Dipingere il sogno. Una sorprendente tecnica di guarigione, Ecig, Genova, 2005, pag. 181, euro 14; clicca qui per visitare la pagina web del libro) che sarà presentato il 27 aprile alle ore 15,30 a Roma in via Sicilia 166/b, permette molte chiavi di lettura. Sotto il profilo teorico è un testo di psicologia del sogno, inteso non soltanto come mezzo diagnostico, atto a farci comprendere meglio la nostra vera personalità, ma anche come strumento terapeutico: in altre parole, i nostri sogni sono il nostro miglior medico.

Tuttavia, l’argomento sogno è così vasto e complesso da esigere una qualche specificazione: per districarsi nell’interpretazione, la lettura dei sogni avverrà attraverso le categorie psicologiche di Totem e di Briccone; la prima è a tutti nota, per essere stata bene illustrata da Freud nell’opera Totem e tabù, quella del Briccone è stata spiegata da C.G. Jung. Così, tutti i nostri sogni si possono classificare come temibili, spaventosi, totemici, appunto, oppure giocosi, allegroni, bricconeschi! Queste sono le due visioni con cui possiamo leggere i nostri sogni. E questa è anche la trama del libro, che si articola in una quarantina di sogni e nella loro interpretazione da parte dello psicoterapeuta durante la seduta.

Sorge ora la domanda: chi è il sognatore cioè il protagonista del libro? La risposta ha tutto il sapore di un vero colpo di teatro, perché si tratta di un prete cattolico, che si sottopone alla terapia del sogno e che al termine del suo percorso di guarigione svestirà l’abito per sposarsi. La storia dell’ecclesiastico che getta l’abito alle ortiche è spesso vista come un fenomeno di costume, quando non è descritta e vissuta come un episodio di scandalo morboso. Questa volta, invece, è privilegiato il risvolto psicologico. Non è frequente, davvero, che un prete si metta in discussione davanti allo psicoanalista e ancor meno che dia in pasto al pubblico il suo interiore travaglio. In questo libro, invece, la sincerità del protagonista è spietata e non viene meno neppure di fronte al quasi inaccessibile tempio dell’inconscio. Eppure, ciò talvolta è scambiato per oscenità.

 La peculiarità del paziente non dovrebbe, però, distrarre il lettore.  La sostanza del libro rimane prettamente psicologica e didattica. Il lettore, sotto questo aspetto, può vedere rispecchiata nella storia descritta, quella della propria quotidiana svestizione. Dice, infatti, l’autore: Già fin dalle prime battute appare che la storia personale del sognatore s’intreccia con quella del Sogno, e ne diventa la rappresentazioine concreta. La svestizione, infatti, non è soltanto quella che compie il mio paziente gettando la tonaca alle ortiche (cosa che, peraltro, egli aveva già fatto da qualche tempo, vestendo anonimi jeans ) ma anche quel gesto ricco di simbolismo che compie ognuno di noi la sera prima di immergersi nel sonno e affidarsi al sogno. ‘L’amico della notte’ non è un optional per la vita diurna ma un terapeuta insostituibile, per guarire dal male di vivere. Che cosa è il nostro piccolo ego, padrone della vita desta, se non mayaa cioè apparenza, un abito difficile da svestire, fonte di condizionamenti inveterati e causa di ogni male? Se l’io si dissolvesse, paziente, terapeuta e lo stesso lettore potrebbero coesistere in una sola persona. La svestizione diventerebbe un imperativo ecologico per la mente di ognuno, perché… domani è un altro giorno.

Ci associamo alla visione dell’autore e ci accostiamo a questo libro come ad un vero manuale per apprendere l’arte del ben sognare.

 Il libro di Carlo Vaj, presentato lo scorso anno alla Fiera internazionale del libro di Torino, il cui tema era appunto Il Sogno, ed ha riscosso un pregevole successo.  

"Chi ha subito il fascino dell’avvincente e provocatorio Codice daVinci di Dan Brown non resterà deluso dalla lettura del libro di Carlo Vaj. La prima impressione è che ci si trova anche qui davanti ad un divertente esercizio di deciframento: l’autore sogna Jean Paul Belmondo in una chiesa vestito da prete. Cosa significa? Basta tradurre in italiano e ritroviamo Giovanni Paolo, grande viaggiatore per il mondo (il bel mondo ?) per di più (ex-?) attore. Ma il Codice da Vinci è richiamato anche dal tema della repressione del femminino operata dalla chiesa: anche in Vaj ritroviamo simboli e archetipi che rimandano alla psicologia del profondo di Jung. Per Vaj l’uomo è un’unità che ha un lato notturno (il sogno) e uno diurno (la ragione), pertanto il sogno dice anche qualcosa all’uomo sveglio. Questo messaggio per l’uomo sveglio è un messaggio terapeutico, un messaggio che il terapeuta suscita, esprimendo a parole quello che nella nostra cultura è tabù, ispirandosi alla terapia provocativa di Frank Farrelly.

  La voce del narratore nel libro è quella del terapeuta che interpreta una quarantina di sogni del suo paziente, riportando anche i dialoghi tra lui e il paziente e aggiungendo le proprie riflessioni. I sogni sono raggruppati sotto quattro argomenti: il sesso, il briccone, la purificazione, la libertà. L’accostamento di un tema freudiano, come il sesso, e no junghiano, come il briccone, mostra che l’autore non bloccato dalla rigidità di una scuola psicologica, ma si basa sulla propria lunga esperienza di terapeuta. Per fortuna, alcune digressioni consentono anche ai non esperti di orientarsi nei presupposti teorici. Per sempio, il tema del briccone, caro all’autore, viene ampiamente illustrato in un paragrafo specifico: è l’aspetto burlesco, il birichino presente anche nell’uomo contemporaneo che se ne ride di Totem, è il pazzo che dichiara pazza la Somma Autorità.

 Ritornando al confronto con il Codice da Vinci, dobbiamo riconoscere all’Autore anche una notevole creatività letteraria. Egli si presenta come il terapeuta, ma in realtà egli è anche il paziente, i sogni che analizza sono ipropri. Questo sdoppiamento è possibile per il lungo esercizio di riflessione che ha esercitato per trent’anni sui propri sogni, seguendo quanto fece Jung nel periodo di autoanalisi durante il soggiorno sul lago di Zurigo, quando disegnava anche i propri sogni. Questo sdoppiamento suggerisce anche le modalità con cui porsi le domande sul significato dei sogni e quindi soggerisce ad ogni lettore un percorso per leggere i propri sogni. Inoltre Vaj dà sfogo alla sua vena affabulatrice nella parte conclusiva del volume, intitolata La dispensa, dove l’esperienza di uscita dalla chiesa anche tramite un processo canonico è descritta in una forma narrativa che mette in bocca ai personaggi considerazioni generali sulla chiesa.

 Questa autobiografia cammuffata costituisce anche un contributo alla psicologia, in quanto presenta un argomento poco studiato: i sogni dei preti. Già Roger Bastide invitava a trattare il sogno dal punto di vista sociologico, infatti i sogni dei preti sono probabilmente diversi da quelli degli altri gruppi sociali" (Claudio Balzeretti).

 
"Totem… chi è costui? Come il Carneade di don Abbondio, Totem è il grande sconosciuto". Non ha difficoltà a parlare del feticcio Carlo Vaj, e ne parla non da barone cattedratico ma con il linguaggio feriale, accessibile ad ognuno, aggiungendo: "Nessuno non lo ha mai visto in faccia Totem, anche se, al sentire il suo nome, il nostro inconscio rigurgita una mole d’emozioni e significati che evocano qualcosa di misterioso e nascosto, d’intoccabile, di taboo… perché Totem evoca il terribile, il numinoso, il sacro, ciò che è proibito. Non vi è Totem, infatti, senza taboo, senza la gran minaccia: Se tu mangerai il frutto dell’albero, morrai!

 

   Ha ragione Vaj nell’affermare il carattere impenetrabile di Totem, ma il nostro desiderio di conoscere è smisurato e vorremmo comprendere qualcosa di più sui segni d’identità di questa figura psicologica: "Totem è il gran ladro, quello che ruba una parte più o meno ampia di noi stessi, un ladro di personalità. Talvolta c’identifichiamo con qualcuno o qualcosa che ammiriamo o temiamo, al punto che quella personalità entra in noi, spodestando il nostro carattere originario. Sotto tale aspetto di predatore, i nomi di Totem possono essere diversi: il padre-padrone o il compagno di banco, un’ideologia o il presidente del Consiglio, il Papa, il Grande fratello, la televisione… Sono tutte figure totemiche, sono tutti ladri d’uomini".

   A questo punto del discorso, una domanda è d’obbligo: "Come possiamo conoscere il nostro (o i nostri) Totem? La risposta è lapidaria: "Il sogno e il soltanto il sogno è la pista ben riconoscibile lasciata dagli abitatori totemici interni, il marcatore infallibile per risalire agli inquilini abusivi del nostro cervello. Un sogno ricorrente, non necessariamente angosciante (talvolta personaggi che esecriamo nella vita da svegli sono oggetto d’ammirazione nelle immagini della notte) può rivelarci che non siamo soli nel nostro cerebro.

   Dulcis in fundo, la domanda più rilevante: "Come spodestare Totem e rientrare in possesso dei nostri domini mentali? Anche questa volta la risposta di Vaj è più che concisa: "Semplice. Abbiamo accanto a noi, intendo dire tra le nostre risorse psichiche, la figura archetipica del Briccone (tratteremo del Briccone nei prossimi articoli). Come Ghilgsamesh nell’omonima saga sumerica ha sconfitto il totemico mostro Husaba grazie all’aiuto dell’amico Enkiddu, l’uomo selvaggio e briccone matricolato, così noi avremo la meglio sulle paure ancestrali che reprimono la nostra vera personalità".

 

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