SANTO O REPRESSORE?

L’emarginazione di teologi, vescovi e religiosi, in particolare i ”teologi della liberazione”; le posizioni conservatrici in tema di morale sessuale, di celibato ecclesiastico, sul ruolo della donna e dei laici nella vita della Chiesa; la tolleranza verso i regimi dittatoriali in America latina o le oscure vicende che hanno coinvolto lo Ior. Tutti elementi che dovrebbero essere attentamente valutati prima di elevare agli altari la figura di papa Giovanni Paolo II. Tanto più in un periodo in cui – come ha sottolineato Giovanni Franzoni – le beatificazioni di Pio XII e Giovanni XXIII evidenziano come sia divenuta prassi sin troppo comune nella Chiesa che un papa santifichi i suoi immediati predecessori.

Adesso però la causa di beatificazione di Wojtyla, la cui fase diocesana è ufficialmente iniziata in giugno, ha un nutrito gruppo di autorevoli oppositori, il cui parere dovrà essere tenuto nella giusta considerazione. Un ”appello alla chiarezza” sulla beatificazione di Giovanni Paolo II è stato infatti presentato il 5 dicembre, presso i locali della nostra agenzia, dallo stesso Giovanni Franzoni, ex abate benedettino di S. Paolo Fuori le Mura, per anni tra gli animatori della Comunità di Base di San Paolo, e dal filosofo e teologo della Liberazione Giulio Girardi. A firmarlo, oltre a loro, teologi e storici della Chiesa come Jaume Botey, Casimir Martí, Ramon Maria Nogues, José Maria Castillo, Rosa Cursach, Casiano Floristan, Filippo Gentiloni, José Ramos Regidor, Martha Heizer, Juan José Tamayo.

"Non è un documento di contestazione", ha voluto sottolineare durante la presentazione Franzoni, "anche se è indubbiamente una voce fuori dal coro, pur tuttavia nasce da un’esperienza sofferta di persone che hanno vissuto per anni una vita ecclesiale intensa che ha attraversato diverse fasi, entusiasmi e delusioni". Per questo, dice Franzoni, le nostre considerazioni sono state elaborate "con spirito ecclesiale, come afferma appunto la parte finale del documento". Inoltre, ha aggiunto l’ex abate benedettino, "noi non apparteniamo a quella pattuglia di credenti che messi ai margini o messi alla porta gioiscono del fatto che la Chiesa si comporti in modo antievangelico. Noi abbiamo sempre pianto delle miserie della Chiesa in cui siamo nati e cresciuti". Entrando nel merito delle critiche alla figura di papa Wojtyla, Franzoni ha detto che "un pontefice ha tutto il diritto di essere conservatore". Ciò che però diviene grave, quasi "peccaminoso", è il fatto di "esercitare il potere delle due spade. Esprimere cioè legittimamente la propria opinione ma impedire nel contempo, attraverso il potere di cui si è investiti, ad altri – teologi, vescovi, consacrati e laici – di affermare cose diverse".

Un modello di Chiesa polacca, opposta a quella del Concilio

Nel suo intervento, Giulio Girardi ha sottolineato che la canonizzazione di Wojtyla "troverebbe certo un largo consenso in una parte ampia della Chiesa, rappresentata da quelle folle che scandirono insistentemente ‘santo subito!’". Ma provocherebbe un profondo turbamento in altri settori della Chiesa, esaltando la figura di un papa che non ha compreso il loro impegno, che li ha repressi ed emarginati, che ha soffocato la loro libertà di ricerca e di pensiero". Un papa, Giovanni Paolo II, fortemente legato – secondo Girardi – al modello conservatore ed anticomunista caratteristico della Chiesa polacca. Un modello che Wojtyla, in senso opposto al modello ecclesiale uscito dal Concilio Vaticano II, voleva imporre come "paradigma della Chiesa universale". Tra gli aspetti più controversi del pontificato di Wojtyla, Girardi si sofferma in particolare sul "dramma vissuto dai teologi della liberazione, schierati nel pensiero e nell’azione dalla parte dei poveri": essi "vennero condannati, rimossi dall’insegnamento, ridotti al silenzio, emarginati perché accusati, ingiustamente, del ‘peccato’ di marxismo". Così, come avvenne per la rivoluzione nicaraguense, "Giovanni Paolo II e la gerarchia locale da lui sostenuta, si schierarono dalla parte della borghesia; dalla parte della controrivoluzione armata, dalla parte dell’impero statunitense, cui in nome dell’anticomunismo venivano condonati tutti i delitti".

Reazioni al documento dei 12 teologi e studiosi contro la canonizzazione di Giovanni Paolo II non si sono fatte attendere. Scontata l’indignazione di mons. Stanislaw Dziwisz (che fu segretario di Wojtyla fin dai tempi in cui il futuro papa era arcivescovo di Cracovia), per il quale la beatificazione del pontefice polacco non corre alcun pericolo. Anzi, ha detto all’agenzia polacca Pap, "manifestazioni di questo tipo otterranno il solo obiettivo di fare in modo che la beatificazione si realizzi in tempi più rapidi e con maggiore convinzione".

Meno scontata la posizione dello storico cattolico Alberto Melloni, che sul Corriere della Sera del 6/12, afferma che l’appello, suo malgrado, si inserirebbe "in una logica ‘papista’, come se il papa fosse la Chiesa, ne interpretasse debolezze e virtù, e fosse consapevole di tutto ciò che accade nella sua corte. L’invito a deporre contro il papa repressore, conservatore in materia morale e indulgente verso i mascalzoni in talare, non avrà altro effetto che eccitare chi invece trova proprio in quelle presunte linee d’azione la prima santità di Giovanni Paolo II". Il pontificato di Wojtyla, secondo Melloni, è complesso, e non può essere ridotto a "un momento di mera restaurazione". Farlo diventare "il nero specchio di una reazione che non ci fu significa aiutare coloro che ne sognano l’avvento".

Di seguito, il testo integrale "l’appello alla chiarezza" sottoscritto dai 12 teologi. (Valerio Gigante)

L’apertura ufficiale, il 28 giugno 2005, della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II, sollecita tutti i cattolici, uomini e donne, che si sentono partecipi e responsabili della vita della loro Chiesa, ad inviare le loro testimonianze sulle opere del Romano pontefice scomparso il 2 aprile.

Come è stato correttamente annunziato, possono essere inviate, all’ufficio competente del Vicariato di Roma, sia testimonianze a favore che testimonianze contrarie alla glorificazione di Karol Wojtyla, purché tutte siano fondate su dati obiettivi.

Tenendo peraltro conto della sovraesposizione mediatica che si è verificata, non sempre per motivi spirituali, durante gli ultimi giorni della malattia del papa e in occasione del suo decesso, ci sembra opportuno proporre dei riferimenti a quelle donne e uomini cattolici che senza voler ignorare naturalmente gli aspetti positivi del suo pontificato, come l’impegno per la pace o il tentativo di ammettere le colpe storiche dei figli e figlie della Chiesa nel passato; senza negare aspetti virtuosi della sua persona; e senza volerne giudicare l’intima coscienza – danno però una valutazione per molti aspetti negativa del suo operato come papa. Perciò, con questo appello invitiamo tali persone a superare la ritrosia e la timidezza, e ad esprimere formalmente, con libertà evangelica, fatti che, secondo le loro conoscenze e i loro convincimenti, dovrebbero essere d’ostacolo alla beatificazione.

Le/i firmatari del presente appello ritengono che, rispetto al pontificato di Giovanni Paolo II, si debbano criticamente valutare, in particolare, i seguenti punti:

1° – La repressione e l’emarginazione esercitate su teologi, teologhe, religiose e religiosi, mediante interventi autoritari della Congregazione per la Dottrina della Fede.

2° – La tenace opposizione a riconsiderare – alla luce dell’Evangelo, delle scienze e della storia – alcune normative di etica sessuale che, durante un pontificato di oltre 26 anni, hanno manifestato tutta la loro contraddittorietà, limitatezza e insostenibilità.

3° – La dura riconferma della disciplina del celibato ecclesiastico obbligatorio nella Chiesa latina, ignorando il diffondersi del concubinato fra il clero di molte regioni e celando, fino a che non è esplosa pubblicamente, la devastante piaga dell’abuso di ecclesiastici su minori.

4° – Il mancato controllo su manovre torbide compiute in campo finanziario da istituzioni della Santa Sede, e l’impedimento a che le Autorità italiane potessero fare piena luce sulle oscure implicazioni dell’Istituto per le opere di Religione (Ior, la banca vaticana) con il crack del Banco Ambrosiano.

5° – La riaffermata indisponibilità del pontefice, e della Curia da lui guidata, ad aprire un serio e reale dibattito sulla condizione della donna nella Chiesa cattolica romana.

6° – Il rinvio continuo dell’attuazione dei princìpi di collegialità nel governo della Chiesa romana, pur così solennemente enunciati dal Concilio Vaticano II.

7° – L’isolamento ecclesiale e fattuale in cui la diplomazia pontificia e la Santa Sede hanno tenuto mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, e l’improvvida politica di debolezza verso governi – dal Salvador all’Argentina, dal Guatemala al Cile – che in America latina hanno perseguitato, emarginato e fatto morire laici, uomini e donne, religiose e religiosi, sacerdoti e vescovi che coraggiosamente denunciavano le "strutture di peccato" dei regimi politici dominanti e dei poteri economici loro alleati.

Con spirito ecclesiale, Jaume Botey, teologo e storico, Barcellona; José María Castillo, teologo, San Salvador; Rosa Cursach, teologa, Palma de Mallorca; Casiano Floristán, teologo, Salamanca; Giovanni Franzoni, teologo, Roma; Filippo Gentiloni, giornalista e scrittore, Roma; Giulio Girardi, teologo, Roma; Martha Heizer, teologa, Innsbruck; Casimir Martí, teologo e storico, Barcellona; Ramon Maria Nogués, teologo, Barcellona; José Ramos Regidor, teologo, Roma; Juan José Tamayo, teologo, Madrid.  

fonte: www.adistaonline.it

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